Quello che non c’è più

Se vivi a Milano ti capita di andare a vedere com’è, da fuori, questo nuovo locale fighetto che hanno aperto vicino casa tua in una fabbrica abbandonata di cui poco tempo prima eri andato col tuo amico a fotografare le rovine.

 

E ora ci passate davanti in macchina e dite “dovremmo vedere una volta che effetto fa entrare in un posto così”. Come se non l’avessimo già fatto secoli fa e non ne avessimo già le palle piene da mò. Ma spesso ci si dimentica.
Mentre aspettate al semaforo di allontanarvi da quel posto su cui state ipotizzando il viaggio archeologico, vedi tre tizi che attraversano le strisce diretti lì. E sono libri aperti. Vedi tutta l’inconsapevolezza della morte che già da universitario ti annoiava a morte. E lo sai che se entrassi in quel locale dureresti massimo 10 minuti.
La preghiera è la nascita di un desiderio contro te stesso: “ti prego spazza via tutto, toglimi tutto quello che ho, distruggi tutto quello a cui ancora mi attacco. Fallo come vuoi. Con violenza se necessario. Fallo adesso. Che io non desideri più di godere ancora un po’ di quello che non c’è. Spazzami via.”
Che io non possa più dire nella mia vita “che palle!”

Non c’è nessuno tranne Lui

Ho sempre mollato tutto.
Mi sono laureato in filosofia, ma ho mollato la filosofia per fare lo sceneggiatore.
Ho mollato una casa di produzione di cartoni animati per fare il pubblicitario.
Ho mollato la pubblicità per fare l’artista.
Ho mollato l’arte per studiare la Kabbalah.

Che cosa ho imparato da tutto questo?
Diciamo sempre: ho imparato questo, ho imparato quello.

C’è un bel modo di dire: “la vita mi ha portato ad essere”

Il fatto che oggi ci penso 100 volte prima di mollare una cosa, valuto di più, cerco di essere più paziente e cerco di non vedere tutto bianco o nero, non l’ho imparato io. Questo essere chiamato Davide è più paziente perché sa che altrimenti potrebbe bruciarsi.
La vita ci porta ad essere ciò che siamo, a diventare ciò che diventiamo, ad amare ciò che amiamo, ad odiare ciò che odiamo, a fumare ciò che fumiamo, a mangiare ciò che mangiamo, a pensare ciò che pensiamo, a scrivere ciò che scriviamo.

Non siamo noi a muoverci, c’è un vento che ci muove. E questa è la cosa più bella che ci sia.

La metamorfosi

E’ bello all’inizio di ogni percorso spirituale dire “Sì! Morte all’ego! Fanculo! Voglio l’illuminazione ora!”, “Farò tutto quello che serve per distruggere questo ego che mi impedisce di essere uno con il tutto!”.
Dopo qualche tempo però arriva, sempre, inevitabile, quella frase: “Io non ho capito come facciamo a correggere il nostro ego mantenendo la nostra individualità. Io non voglio perdere la mia individualità.”
E secondo te l’ego che cos’è?

Immagina di andare al tuo mercatino fricchettone preferito, dove un tempo godevi al solo respirare l’aria d’incenso,  a vedere i cilum, gli anelli con tutti i simboli possibili e le magliette con tutti i gruppi rock e metal del mondo. Era come una galleria d’arte, meglio di una galleria d’arte intellettuale con opere morte create solo per un target di collezionisti milionari e di artisti che leggono tutti le stesse quattro cose radical chic del cazzo (ok, qui ho un po’ calcato la mano).
Insomma immagina di andare al tuo mercatino preferito e che quell’odore d’incenso ti dia noia, che quelle magliette pensi che non le metteresti mai, che nessuno di quei simboli negli anelli ti rappresenti più di quanto non faccia topolino (anzi una maglietta di topolino mi manca proprio), che di dischi vecchi acid jazz non sai cosa fartene e neanche di dvd di film di serie b, perché sei una persona immorale e ascolti e vedi tutto in streaming.

Immagina di non sentire più niente. Quella roba è una parte di te che non c’è più, cioè non è vero che non c’è più, c’è, ma è come la tua prima bicicletta, non riesci neanche più a sedertici.

E una vocina in testa (che in realtà non è una vocina, è solo un modo di dire, è una sensazione) dice: io non sono questo, anzi io non sono mai stato questo, era solo un travestimento, una maschera, un modo per dire agli altri e a te stesso: “attenzione: io sono questo”. Ma non era vero.

La risposta alla domanda sull’individualità è: “Che facciamo, le togliamo le rotelle?”

Il problema di Dio

“Dio non esiste” disse deciso il ragazzo fricchettone fuori dall’esame di psicologia sociale.
E in me montava una tale rabbia che chiesi per favore all’amica che stava con me di uscire fuori altrimenti litigavo.

A me non fregava e non frega ancora proprio niente di Dio. Anzi bestemmiavo parecchio. Solo che non sopportavo che uno studente di filosofia potesse dire una stronzata simile.
Che vuol dire “Dio non esiste”? Al massimo puoi chiederti “Che cosa significa Dio per me, per te, o per i cattolici o per gli induisti, o per i musulmani, o per il kabbalisti, o per i buddisti o per mia nonna o per mio figlio”. Ma dire “Dio non esiste” non significa niente. E’ come dire “l’addizione non esiste”, in che senso?

Dicendo che “Dio non esiste” dimostri di essere cattolico e dualista tanto quanto quelli che stai criticando. Questo esiste, quello non esiste. Io ho ragione, tu hai torto.

Cioè, se io chiamo la mia penna “Dio”, puoi dire che la mia penna non esiste? Magari si perché hai visto Matrix e allora va bene, ma almeno sappiamo di cosa stai parlando. E se io chiamo la Natura, l’universo, con il nome di Dio, ancora mi vuoi dire che non esiste? Può essere, magari perché puoi dirmi che tutto è un’illusione, allora possiamo arrivare alla conclusione che nulla esiste. E mi va benissimo. Ma se mi dici “Dio non esiste”, così a cazzo, non vuol dire niente e se vuoi andare contro la religione sei sulla strada sbagliata.

Una volta mi hanno bannato da un forum perché bestemmiavo. Forse perché credevano che Dio non esiste.

Una comunità di insegnanti illuminati

(Attenzione questo è un articolo serio. Scusatemi.)

Educazione. Tutte le guerre, le tensioni, i malesseri sociali a livello macroscopico e a livello microscopico, dagli scontri religiosi a quelli finanziari, dai disaccordi tra politici a quelli tra vicini di casa, dalla depressione dei mercati a quella, crescente, degli individui. Tutto, oggi, ci dice che la priorità assoluta è la creazione e l’applicazione di una nuova forma di educazione.
E tanti ricercatori, insegnanti, filosofi, scienziati dell’educazione e di tutte le scienze insieme, comitati scientifici, governi, ministri dell’educazione, consigli europei e mondiali,  si stanno in effetti adoperando in uno sforzo comune di cambiare il vecchio paradigma educativo basato sulla lezione frontale, sulle parole dell’insegnante o del libro, imparate a memoria e ripetute, sul seguire comportamenti in linea con questa semplice linea trasmissiva.
Perché questo paradigma non funziona più? Perché il nuovo obiettivo è “imparare a collaborare”. E non si può imparare a collaborare leggendo un libro su come collaborare o ascoltando una lezione. L’arte delle relazioni con gli altri si apprende attraverso la pratica, e nello specifico attraverso l’esempio.
Come anche Aristotele scriveva, l’uomo è essenzialmente un animale che imita e ricorda. Ogni uomo è il suo bagaglio di esperienze, di azioni positive che tende a ripetere e azioni negative che tenderà ad evitare, ma c’è uno strumento che lo differenzia dagli animali e questo è la sua capacità di apprendere all’interno di una società. Così come quando un uomo legge un libro si appropria di esperienze ed emozioni che magari nella sua vita non avrebbe mai vissuto, allo stesso modo, vivendo in società, un uomo ha la possibilità di sviluppare abitudini per le quali, da solo, avrebbe impiegato secoli di errori e ricompense.
Noi abbiamo una grande qualità: l’invidia. Suona strano messa così, ma questa caratteristica propria solo dell’uomo lo porta ad imitare i suoi simili che hanno più successo in ciò che egli desidera. E a questo punto tocca farci una domanda: che cosa desidera maggiormente l’uomo? Anche qui oggi abbiamo tante ricerche condotte spesso in ambito scolastico che ci dicono che la felicità umana sta nella capacità di amare e di essere amati. L’uomo è felice quando si trova in una società in cui non deve preoccuparsi di sé stesso, tanto da poter pensare agli altri.

Quindi possiamo tornare alla soluzione della nuova educazione che si proietta verso di noi da ricercatori come Lewin, Bandura, Bonfenbrenner e da tutti gli studi relativi al clima scolastico: se l’uomo apprende attraverso l’esempio e ciò che desidera è amare ed essere amato, allora il modo in cui l’uomo potrà cambiare è quello di stare in una società che gli da questo esempio. In primo luogo allora, se l’esempio è tutto, servirà una comunità di insegnanti che vivono già secondo questo principio. Ma da dove cominciare? Se l’esempio è tutto, da dove prendiamo questo esempio? Esiste già una società siffatta? Da dove prendiamo il primo esempio?

Pubblicità di Dio

Tutti alla ricerca della propria identità. Che vuol dire essere identici.
Identici a che cosa?
Nella psicanalisi c’è una cosa chiamata “coazione a ripetere”, che equivale all’impulso di morte.
E noi tutto il tempo vogliamo avere un’identità, una personalità, essere identici a quello che eravamo ieri, o l’anno scorso, o a qualche anno fa, quando avevamo deciso “io sono questa cosa qui”.
E tutto quello che ci succede di contrario a questa identità che ci siamo costruiti lo percepiamo come un disturbo, come avversità, come un problema, come crisi.
La crisi mondiale di un mondo che vuole essere uguale al passato, quando lo sappiamo che tutto scorre e che magari scorrerebbe felicemente se non ci incaponissimo col fatto che siamo quella cosa lì che è solo nella nostra testa.
Tanto per dire che c’è una scienza che non ti insegna ad annullare l’ego o a tranquillizzarlo o a usarlo per i tuoi scopi, ma che ti porta a ricevere, ad accettare tutto quello che accade come giusto, che giustifica tutto.
è come una scienza della pubblicità del tutto. Tutto ciò che accade è buono, tutto ciò che accade è perfetto, tutto ciò che accade è Dio.
Solo che questa cosa causa un po’ di resistenze perché c’è questa tendenza in ciascuno di noi a giustificare sè stessi piuttosto che la realtà delle cose. Solo che quel se stessi è una cosa che appartiene al passato.
Quel se stessi è una strategia che abbiamo adoperato nel passato per relazionarci con il mondo. Solo che il mondo ci pone sempre problemi nuovi. E’ come se per dare un esame di storia studi sul libro di scienze perché aveva funzionato per l’esame di scienze, quindi…

E se non vi basta la mia parola, ecco delle citazioni di eminenti testimonial.

Einstein: “la follia sta nel fare sempre la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi.”
Hegel: “Scegli ciò che accade.”
Lacan: “l’Io consiste nella conclusione mentale erronea: io penso di aver dimostrato che sono”.

E adesso possiamo riprendere a vedere il nostro telefilm così non ci pensiamo più.

Marx è sovrastruttura

 Un ragazzo si entusiasma al Marxismo perché con il Marxismo scopre che la realtà che gli viene posta sotto gli occhi alla televisione, sui libri, su internet, a scuola, è solo un’illusione. E’ una sovrastruttura. Sotto c’è una struttura più profonda, c’è la realtà: i rapporti economici, l’economia.
Quando uno scopre una verità, quando ha sentito profondamente che quella verità è più vera della precedente, non può non seguirla. Sei fregato. L’illusione è finita. Il velo di Maya è caduto. Non resta che lottare per la verità.
Ma…
Se ti dicessi che i rapporti economici sono una sovrastruttura di un’altra struttura? Se ti dicessi che potresti toccarla, sentirla e vederla e abbracciarla e amarla?
Quando abbiamo lasciato la prima struttura per la nuova abbiamo dovuto fare un sacrificio. Abbiamo sacrificato il falso piacevole per il vero scomodo.
Ma se il sacrificio per una struttura parziale è un sacrificio parziale, qual è il sacrificio per la struttura totale?

LIBERTÀ

Una volta mi hanno detto: “Perché fai l’artista? Perché crei ed esponi opere d’arte?”
Perché si scrive, perché si fa l’attore, perché si fa il regista, perché ci si veste, ci si trucca, perché si sceglie di diventare qualcuno o qualcosa, perché ci si vuole migliorare, perché Pazienza si faceva di robba?
Immagina di vivere in un mondo in cui tutti ti amano e si prodigano per te, in cui ti senti totalmente protetto, come nell’utero di tua madre, in cui non ti manca nulla perché gli altri provvedono a te, immagina di essere totalmente amato, di avere da mangiare, una casa, l’affetto, una moglie/marito, fidanzata/fidanzato, immagina di avere tutto l’amore del mondo da ogni singola persona del mondo.

è tutto all’incontrario

L’amore del nostro mondo è forse odio. È volere per se tutto, è possedere l’altra persona, è odiarla perché non ti chiama. È odio. E tu devi ammettere se veramente riesci ad essere sincero con te stesso: io odio questa donna. Io voglio stare con te perché ti odio, perché voglio possederti e voglio che tu sia mia schiava. Questo voglio. Questo è il mio amore per te. Vedo la tua bellezza e ti voglio. Perché ti odio. Odio il fatto di non possederti. Io ti odio per questo male che mi fai, perché sei indipendente da me, perché sei così bella. Io ti odio perché tutti ti amano e tutti ti possono avere e non io, invece voglio essere io soltanto ad averti. E forse l’amore è volere essere unito con te e odiare la separazione. Ma fondamentalmente quello che sento non è il desiderio del tuo bene, ma solo del mio. Io desidero il tuo male se non sei con me. E questo è tutto il mio egoismo. Che io voglio essere rispetto agli altri il superiore. La massima gelosia è il massimo egoismo. Che tu vuoi solo per te. Per te stesso.

Una cosa che ho fatto

Quando tu fai un’azione quella non muore li. Siccome tutto è causa ed effetto, quell’azione si ripercuoterà nel mondo fino alla fine del mondo. Tutto ciò che è stato, è e sarà ha delle conseguenze infinite. Il tuo più piccolo respiro contribuisce alla costruzione del domani di tuo figlio. E in questo ci stanno anche le opere d’arte, che non sono più importanti o più significative di un singolo sbadiglio di un barbone della stazione di Milano. Solo che le opere d’arte sono più visibili. E una di queste martedì arriva ad una mostra a Venezia. Tutto è vivo, anche gli oggetti. Tutto si muove a causa della stessa energia. Proprio come ci muoviamo noi. O siamo solo noi che ci muoviamo? Due link a proposito.